La prima fase dell'Unità di Ricerca consiste nell'individuare i siti pilota su cui condurre le diverse sperimentazioni previste. I casi studio così scelti sono l'Arco d'Augusto e i dipinti murali del Sottotetto della Collegiata di Sant'Orso, entrambi in Aosta, in quanto rispondevano alle specifiche richieste dai tre Progetti di ricerca.
Costruito nel 25 aC in occasione dalla fondazione di Augusta Praetoria e in onore dell'imperatore romano Augusto, l'Arco si presenta ancora oggi come uno dei monumenti simbolo meglio conservati della città di Aosta. Situato nella parte orientale della città, lungo la via delle Gallie che univa l'Italia alla Francia, l'Arco era il primo monumento che il viaggiatore incontrava prima di entrare in città attraverso la porta d'ingresso principale, ovvero la Porta Pretoria. L'Arco presenta un unico fornice a tutto sesto posto in direzione est-ovest, costituito da una muratura a sacco coperta interamente da conci di puddinga, un conglomerato sedimentario locale, ed è decorato da 4 semicolonne corinzie per ogni facciata principale e 3 per ogni facciata laterale.
Il fregio, sopra le colonne, era in origine di tipo dorico, con un'alternanza di triglifi e metope, probabilmente decorate. L'Arco fu ricoperto da un tetto in lose come voluto dal Conseil de Commis nel 1716, eliminando così l'attico originale che lo sormontava, alto 5-6 metri con iscrizione marmorea e caratteri bronzei. L'altezza totale doveva aggirarsi intorno ai 20 metri, per una larghezza complessiva di 19 metri per le facciate principali e di 10 circa per le facciate laterali. Sulle facciate principali vi erano inoltre 2 nicchie che molto probabilmente ospitavano delle statue o dei trofei e sopra l'attico doveva trovarsi un gruppo statuario che forse rappresentava una biga trainata da una coppia di cavalli.
Tra gli appassionati e cultori d'arte che si avvicinarono e contribuirono alla valorizzazione dell'Arco si ricorda Alfredo D'Andrade di cui si conservano ancora numerosi schizzi, testimonianza della sua passione e del suo costante lavoro legato al patrimonio artistico valdostano. Attualmente l'Arco si presenta così come lo lasciò il restauro di Ernesto Schiapparelli (1856-1928) eseguito negli anni 1912-1913, ovvero ricoperto da un tetto in ardesia, sempre sormontato da tre stendardi metallici raffiguranti il leone rampante, simbolo di Aosta. L'Arco è stato interamente pulito e consolidato, totalmente reintegrato nella parte alta, triglifi e metope compresi, con un conglomerato artificiale costituito da malte cementizie. Le nicchie, prive di statue e trofei, sono state parzialmente chiuse. Al centro del fornice è rimasta la copia del crocifisso ligneo cinquecentesco rivolto verso est, che a causa delle sue precarie condizioni conservative è stato sostituito nel 1980. Nel 1971 la viabilità e la diffusione di massa delle automobili, ritenute responsabili dello sviluppo di alcune forme di degrado presenti sul monumento, fu modificata e l'Arco fu inserito in un aiuola al centro di una rotatoria.
La storia architettonica e artistica della chiesa di Sant'Orso deriva dalla sovrapposizione di varie fasi costruttive dall'epoca paleocristiana fino al XIX secolo. La costruzione della chiesa romanica è assegnata dalle fonti antiche al vescovo Anselmo, che resse la cattedra dal 994 al 1026. L'edificio anselmiano, che si sviluppò sulla chiesa carolingia preesistente, presentava una pianta basilicale a tre navate senza transetto, conclusa a est da tre absidi semicircolari. La facciata presentava la classica composizione a salienti, resa asimmetrica verso nord dall'inglobamento di un campanile che sarà demolito verso la fine del XV secolo dal priore Giorgio di Challant. Nella seconda metà del XV secolo, questo personaggio, molto importante nel panorama della committenza artistica in Valle d'Aosta, fece anche costruire delle volte a crociera in muratura in sostituzione della vecchia copertura lignea a capriate. La decorazione pittorica del XI secolo, che doveva ricoprire le pareti dell'intero edificio, fu perciò relegata al sottotetto della navata centrale. Nascosta per alcuni secoli, l'esistenza di questi preziosi dipinti, coevi a quelli anselmiani rinvenuti nel Sottotetto della Cattedrale, fu segnalata a partire dall'Ottocento. Solo verso la metà del XX secolo, però, furono pubblicati degli studi approfonditi riguardanti questi dipinti e negli anni 1967-1968 fu progettato ed eseguito il loro restauro. La tecnica artistica impiegata è quella ad affresco con alcune finiture a secco miscelate con un legante proteico. L'esecuzione è molto semplice ma curata, realizzata per campiture di colore sovrapposte e la tavolozza pittorica è limitata a pochi pigmenti: ocra gialla e rossa, terra verde, bianco san Giovanni, nero a base di carbonio e in alcuni casi, per impreziosire le scene, blu di lapislazzuli.
Le scene si presentano in condizioni frammentarie a causa degli estradossi delle volte che ne interrompono la continuità narrativa, pertanto non è semplice individuare un programma iconografico ben definito. Si tratta, piuttosto, di un insieme di episodi, apparentemente slegati, che rappresentano alcune scene bibliche e neotestamentarie e alcune storie di santi. Le scene si sviluppano, sia sul lato nord che sul lato sud, su un fondo continuo bianco e verde, sormontato da un motivo geometrico a greche prospettiche interrotto in alcuni punti da riquadri con figure di animali o altri oggetti. Attualmente questi dipinti presentano uno stato di conservazione piuttosto precario a causa dell'interazione tra i materiali originali dell'opera e i materiali da restauro che sono stati applicati alla fine degli anni '60. L'applicazione di alcune resine idrorepellenti e le quantità eccessive hanno creato una pellicola superficiale che trattiene l'umidità all'interno della parete e ne impedisce una corretta traspirazione. In questo modo il sistema manufatto-ambiente ha subito un arresto e si sono sviluppate alcune forme di degrado particolarmente dannose, come sub efflorescenze ed efflorescenze saline.